Il valore del corpo femminile e la violenza sessuale negli anni ‘70

a cura di Michela Cerocchi

 

 

Essere donna non sempre ha significato essere persona. Fino a metà degli anni Novanta lo stupro era considerato, dal sistema giuridico e dalla società, un crimine contro la moralità pubblica e il buon costume e non contro la persona. Se una donna era aggredita e stuprata non era lei, il suo corpo, la vittima. Quella offesa era la morale. La donna e il suo corpo non erano considerati soggetti, identità, ma solo oggetti, proprietà.

 

Ma dagli anni Sessanta qualcosa cominciò a cambiare nella società, soprattutto tra le generazioni di giovani, ragazzi e ragazze che iniziarono a frequentare le stesse aule scolastiche e che cominciarono a condividere esperienze e desideri comuni e il bisogno di nuove libertà. Quegli anni, dunque, furono portatori di cambiamenti anche all’interno della famiglia, dei rapporti tra i generi e nella sfera delle relazioni più intime. Ma accanto a questi segni di progresso e di modernizzazione restavano sempre costanti i valori dell’onore maschile e della verginità femminile e i simboli della tradizione che identificavano la donna e il suo corpo come i responsabili dell’ordine morale. Il sesso era ancora un tabù, un argomento scandaloso di cui non si doveva parlare.

Un importante fatto di cronaca portò all’improvviso la parola stupro nelle case degli italiani: il 30 settembre 1975 in una via di Roma furono trovate nel bagagliaio di un’auto due donne, una ormai senza vita, l’altra miracolosamente sopravvissuta. Il massacro del Circeo, la sua tragicità e notorietà, diede il via ad una discussione sul tema dei rapporti tra uomini e donne, sul sesso e sul valore del corpo femminile. I gruppi femminili e femministi non si fecero scappare questa occasione per alzare la voce e ribadire come le relazioni tra i generi fossero ancora costruite sulla dominanza maschile e sulla violenza. La parola “stupro” irruppe nei giornali, nei programmi televisivi, nei teatri, nelle aule dei tribunali, nelle strade e nelle piazze. I collettivi aiutarono molte donne a denunciare la violenza subita e ad affrontare il processo; nelle aule dei tribunali ancora una volta la donna non era considerata la vittima ma la provocatrice, l’adescatrice, la colpevole. Iniziò così la battaglia per cambiare sì una legge, ma soprattutto una società, una mentalità.

 

Lo stupro è diventato un delitto contro la persona nel 1996, ma per noi oggi che valore ha il corpo femminile? È ancora considerato un oggetto o è finalmente diventato un soggetto?

L’unità didattica utilizzerà foto e filmati del periodo, articoli di giornale, documenti e volantini dei collettivi femministi.

 

 

Il percorso prevede due incontri di due ore ciascuno ed è rivolto a tutte le classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

 

 

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